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EDITORIALE: Per una psicoterapia appropriata

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EDITORIALE

Sembra un argomento ormai obsoleto, se non ingenuo o banale, affrontare il tema di una psicoterapia che sia “appropriata” (non solo nel senso di adeguata, ma anche “di sua propria appartenenza”, sia al paziente che al terapeuta). Da anni e da molte parti sono, infatti, stati proposti interessanti sviluppi tecnici, nuove metodiche e addirittura strategie integrate. In questo contesto, il concetto di appropriatezza trova uno spazio epistemologico che inerisce a qualcosa di più del fare psicoterapia; al farla e in modo autentico e di essere autentici nel farla (1).

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Non è stato casuale che il XXIV Congresso della S.I.P.I., tenutosi a Torino il 19 – 20 Aprile scorso presso l’Aula Magna della Città della Scienza e della Salute dell’Ospedale Molinette, abbia affrontato questo filone di ricerca, partendo dai campi operativi (cioè dai setting).

Ciò ha permesso di cogliere con “osservazioni” la varietà degli attuali setting, la pregnanza dei molteplici trattamenti psicoterapeutici, in contesti clinici spesso molto diversi fra loro.

È emerso che, se una presunta onnipotenza delle psicoterapie è illusoria, facendo capo al “modello a rete” della Psicologia Individuale Comparata (P.I.C.), si possono rilevare filoni di ricerche che permettono esperienze psicoterapeutiche differenti, non solo tra privato e pubblico (o come si dice, “tra il divano e la panca” (2); si è potuto così valutare le specificità degli interventi, innanzitutto in rapporto ai pazienti ed ai terapeuti, ai tempi, ai luoghi, alla durata e ai focus dei trattamenti, ed anche rispetto alle diverse culture, ai problemi delle supervisioni e ai rapporti costi / benefici.

In sostanza, da un osservatorio particolare come quello dei setting, si sono aperte delle finestre sui campi delle psicoterapie e si è constatato non solo la possibile varietà degli schemi teorico – pratici, ma anche la molteplicità delle lingue e le difficoltà a rispondere a richieste sempre più complesse e diffuse.

Una delle riflessioni che si possono effettuare riguardo alla appropriatezza della psicoterapia, è quella di riconsiderare almeno in parte e molto sinteticamente le molteplici metodiche le quali sottendono più o meno esplicitamente il fare, il modo di fare, il modo di essere (3). Pur nelle differenze, che non siano antitetiche, si può giungere a utilizzare un linguaggio comune (etico) anche se con lingue diverse (emico) (4). In fondo, la stessa psichiatria culturale non avrebbe neppure ragione di essere se non si accettasse un fondamento comunicativo comune, sia a livello individuale che inter-culturale (5).

Pregiudizi, stereotipi, equivoci e fantasie regnano infatti a proposito delle psicoterapie in genere: non solo nella cultura popolare ma anche in quella che dovrebbe dirsi specialistica (6). Una legislazione insufficiente ha alimentato in Italia la confusione nell’utenza ed ha portato a un proliferare di psicoterapeuti legalmente patentati ma di formazione talora assai dubbia (7).

Il variegato panorama italiano delle psicoterapie mostra ambiguità, riduzionismi e forzature entro parametri pseudoscientifici, che vengono posti in atto sia a livello privato sia pubblico. Per non andare verso l’artigianato delle psicoterapie, si recepisce l’esigenza di effettuare una cura che corrisponda a un “come fare” esplicativo per giungere a una psicoterapia del profondo, inerente al “prendersi cura di” e al “fare come”; una psicoterapia appropriata dovrebbe coniugare interattivamente sia il “come fare” che il “fare come” attraverso una comprensione / esplicativa / condivisa.

Si tratteggiano qui di seguito 3 modelli a cui si può fare riferimento.

1) Il primo di questi può essere indirizzato ad una formalizzazione degli interventi (8). Vale a dire che si sente l’esigenza di comprovare le strategie e le tecniche a seconda del tipo della rilevanza del quadro clinico, in una sistematizzazione che fa anche capo alla managed care ed alle nuove politiche sanitarie, e che descrive in maniera chiara le procedure da mettere in atto per ottenere “costi / risultati” positivi per certi clienti e per determinati disturbi. In altre parole vi sono esigenze: a) di elaborare, per quanto possibile, e di costruire modelli standardizzati; b) di recuperare l’importanza dell’adattamento qualitativo ai bisogni dell’altro (integrazione qualitativa); c) di progettare terapie come “abiti su misura” per il proprio cliente. Come si può notare, vi sono percorsi terapeutici di linea prevalentemente “sistemico familiare” e “cognitivista” i quali, partendo da un eclettismo diventano integrati: tendono a essere metaforicamente come un grande magazzino di abiti per tutte le taglie, le stagioni, gli eventi e le occasioni. Sembra che nel tentativo di integrazione, vi sia qui un radicamento in un eclettismo teorico, che porterebbe ad un modello sincretico. Ciò è diverso da una integrazione processuale adleriana, giacché il modello della P.I.C. sarebbe solo compatibile con un eclettismo pratico (rete di interventi) (8).

2) In un secondo modello vi è l’opportunità di sottolineare la linea d’ombra tra psicoanalisi classica e psicoterapie psicoanalitiche, sino alle psicoterapie dinamiche (che peraltro rientrano nel terzo gruppo). E’ certo che le cure per la sofferenza mentale sono molteplici, ma tuttavia è importante verificare se, tra di esse, quelle promosse dalla psicoanalisi abbiano una loro peculiarità. Tutto ciò non ha soltanto un valore teorico, ma pratico. La prima considerazione è una verifica dei criteri di indicazione o no dell’analisi. La seconda considerazione è la verifica delle eventualità che nell’esperienza di un’analisi siano presenti anche segmenti psicoterapeutici e della possibilità di passaggio ad un’altra forma di esperienza terapeutica. La terza considerazione, infine, è l’informazione sull’efficacia dei risultati ottenuti con la psicoanalisi o con le psicoterapie non psicoanalitiche (9). Valutare correttamente gli apporti delle teorie e degli approcci clinici ha unimportante valore nello spiegare le relazioni significative tra soggetti: ma per realizzare la specifica funzione terapeutica dell’analisi bisogna riuscire a “ricostruire” la trama del nucleo patogeno (10). La psicoanalisi classica, a differenza delle psicoterapie analitiche relazionali, conferisce una priorità alle “dinamiche del mondo interno” del paziente, invece che a quella della “relazione dinamica con l’analista”. L’hic et nunc psicoanalitico avrebbe valore terapeutico in quanto presentifica il passato, e solo in un secondo tempo attiva fenomeni relazionali ed esperienze emotive. E anche per questo che la psicoanalisi classica vorrebbe conservare la sua qualità di “scienza”, mantenendo fermo il postulato freudiano del determinismo psichico.

3) Un terzo modello, utilizza lo “schema relazionale” (11); esso caratterizza le psicoterapie analitiche e la P.I.C. Per gli adleriani è un approccio appropriato, in quanto limita il rigido determinismo ed apre ad un finalismo morbido (teleonomia). Nei molteplici trattamenti, primo fra i quali la psicoterapia analitica, ma non escluse le altre forme di helping adleriano, il counseling e gli interventi educazionali, è ormai avvalorata l’ipotesi che in tutte si registrino, quali agenti terapeutici, sia fattori specifici, sia dimensioni aspecifiche. a) I fattori specifici delle “relazioni di aiuto” corrispondono alle metodiche delle psicoterapie dinamiche strutturate. Qui nel continuum supportivo / intensivo, si possono utilizzare diverse tecniche quali lo smascheramento delle finzioni, la confrontazione, l’elaborazione di materiale profondo, l’interpretazione dei sogni e del transfert, eccetera: in sintesi l’analisi dello stile di vita. b) Tra i fattori aspecifici sono annoverate la cosiddetta “fornitura di presenza” e l’alleanza di lavoro (helping alliance), in cui la partecipazione emotivo / affettiva, la comprensione empatica, taluni dinamismi dell’immedesimazione, appaiono presupposti per raggiungere i vari obiettivi di intervento attraverso le competenze comunicazionali (12). c) Una strategia dell’incoraggiamento è situabile sia nei fattori specifici che in quelli aspecifici e deve essere modulata a seconda del contesto, della persona, delle finalità e degli strumenti operativi.

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Una psicoterapia appropriata (e quindi “appartentiva”) deve inoltre immergersi nella dimensione culturale (13). La molteplicità dei procedimenti terapeutici e dei relativi setting (da quelli indigeni / popolari a quelli scientifico / occidentali sino a quelli generali / universali) dovrebbero essere: 1) riferibili a modelli teorico – clinico collaudati; 2) riconducibili al rispetto dei diritti del paziente e del contesto locale in cui sono praticati; 3) compatibili con i fattori economici, etnici, razziali e culturali.

Una psicoterapia appropriata dovrebbe pure tenere conto sia degli aspetti generali (criterio nomotetico), sia di quelli individuali (criterio idiografico) (14). In tal modo i riferimenti teorici, si rapportano alla visione intuitiva del mondo del soggetto (cioè alla sua Weltanshauung), al suo posto da vivere, (cioè al suo particolarissimo ethos) ed alle motivazioni e finalità che concorrono a definire lo Stile di Vita Individuale (autenticità appartentiva).

Una psicoterapia appropriata, deve mobilizzare gli adattamenti necessari rispetto alle diverse culture, attraverso parametri tecnici, di status / ruolo, di gestione culturale, di transfert e controtransfert, di comunicazione / interpretazione, di scelta degli obiettivi terapeutici; nonché attraverso adattamenti teorici che riguardano: i differenti Stili di Vita, le relazioni interindividuali, le teorie sullo sviluppo della personalità, le ipotesi sui meccanismi di difesa e sulle compensazioni, l’importanza degli Orientamenti di Valori e delle credenze, con particolare riguardo all’espressività psicopatologica. Ciò comporta (specie quando si lavora in setting interculturali) eventuali modificazioni dello schema relazionale, dello Stile Comunicativo, della scelta della tecnica e delle modalità psicoterapeutiche, dell’utilizzazione dei dinamismi terapeutici comuni. Sia la completa negazione dell’influenza culturale che l’utilizzo della dimensione culturale come condizione prioritaria, rappresentano modalità inappropriate per acquisire una chiave di accesso alle rappresentazioni e ai comportamenti. In uno schema relazionale non ci si può concentrare solo sul paziente, ma occorre anche tenere a mente che il terapeuta stesso, a seconda di come considera il proprio sistema di valori e le proprie credenze, influenzerà inevitabilmente il percorso terapeutico.

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I 3 Articoli di questo numero 73 seguono la linea direttrice di una psicoterapia appropriata seppur con modulazioni differenti.

1) Il primo Articolo su “I Miei Scritti” è un omaggio a Pier Luigi Pagani. Non vuole essere una esegesi puntuale delle sue ricerche adleriane, ma è piuttosto una testimonianza di stima e di riconoscenza dei suoi amici, discepoli ed allievi. I quattro lavori di Pagani prescelti per un commento non seguono un ordine cronologico, ma una sorta di finalismo concettuale. L’arco di tempo de “I Miei Scritti” va dal 1963 al 2011 e l’Indice Bibliografico consta di 122 Contributi, raccolti da Maria Beatrice Pagani.

2) Il Secondo Studio si riferisce a un’indagine complessa, clinico-scientifica, condotta dal Centro Pilota per i Disturbi del Comportamento Alimentare diretto dal Prof. Secondo Fassino. Il gruppo di ricerca (Amianto, Bertorello, Spalatro, Cazzaniga, Bianconi, Cavalero, Signa, Abbate Daga, Fassino) si occupa di counseling parentale, terapia familiare e terapie integrate. In questa arti- colazione clinica emergono le peculiarità per un trattamento differenziato. Il Counseling Parentale Adleriano (C.P.A.) è un intervento originale ed appropriato nel quale il counselor si focalizza sulla gestione di aspetti problematici connessi alle dinamiche alimentari, nonché a quelle relazionali e individuali.

3) Il terzo contributo (Gatti, Lerda, Rando) centrato sul fenomeno del bullismo “tradizionale”, estende l’indagine all’attuale forma dilagante di cyberbullismo, dalla quale è difficile difendersi. L’approccio appare non solo culturalmente appropriato rispetto alla “globalizzazione della rete”, ma è di rilevante interesse anche riguardo il mondo delle rappresentazioni collettive, con il dato aggiuntivo della loro sempre più pervasiva “virtualità”. Ciò costituisce uno stimolo a riflettere sia sui modelli teorici che su eventuali interventi possibili.

Dai vari contenuti esposti, emerge una costante rivisitazione dei modelli metodologici e concettuali, anche alla luce delle attuali ricerche utilizzate dalle neuro-scienze, dagli studi psico-socio-culturali e dalla pratica psicoterapeutica.

La teoria, la psicopatologia e la clinica della P.I.C. devono essere riconosciute quali nodi significativi di una rete estesa anche nel supporto di patologie somatiche gravi, di patologie croniche e di quelle che richiedono una riabilitazione (15).

Con l’apertura a nuovi modelli ed a molteplici setting nell’ambito di una psicoterapia appropriata, si dovrebbero stabilire innovativi percorsi di formazione (16) rispetto all’utilizzo di nuove tecnologie che non solo possono sviluppare la cooperazione e la coesione sociale, ma che in un futuro potrebbero anche costituire interventi di tipo psicoterapeutico.

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Per concludere, si può giungere ad un’elaborazione di precedenti schemi di riferimento sia attraverso una revisione epistemologica, sia attraverso nuove tecniche, sia attraverso ricerche scientifiche, sia attraverso l’esercizio formativo e l’esperienza terapeutica.

Stili personali, percorsi collettivi, tradizioni curative, tecniche analitiche, regole del setting: perpetuano nel tempo, nello spazio ed in contesti socio-culturali diversi, caratteristiche atte a percorrere i sentieri di una psicoterapia appropriata: nel senso che questa non è solo un “abito su misura”, ma è “appartentiva” sia al terapeuta che al paziente (17).

La Psicologia Individuale Comparata può offrire oggi sviluppi ed aperture attraverso il proprio modello, complesso e flessibile al tempo stesso, nell’ambito dei molteplici approcci clinici e delle connessioni sia inter-analitiche che inter-disciplinari. I vari percorsi possono confluire senza facili eclettismi, né sincretismi riduzionistici, nell’ambito di un’integrazione come processo (cfr. Ed. n° 71, 2012), per un movimento verso una psicoterapia appropriata.

 

(1) Confronta la Legge n. 449 del 27 dicembre 1997 su “appropriatezza, qualità e accessibilità” dell’Assistenza Sanitaria. (2) MINGUZZI, G. F. (a cura di, 1986), Il divano e la panca, Angeli, Milano.
(3) FASSINO, S. (2002), Verso una nuova identità dello psichiatra, C.S.E., Torino.                                     (4) TSENG, W-S, (2001), Handbook of Cultural Psychiatry, tr. it. Manuale di Psichiatria Culturale, C.I.C., Roma 2003.
(5) GEERTZ, C. (1973), The Interpretation of Culture, tr. it. Interpretazione di culture, Il Mulino, Bologna 1998.
(6) ROVERA, G. G., GATTI, A. (2012), Linguaggio e Comprensione Esplicativa, Riv. Psicol. Indiv., 71: 87-128.
(7) IMBASCIATI, A. (2008), Psicoterapie: orientamenti e scuole, C.S.E., Torino.
(8) GIUSTI, E. et Alii (2000), Psicoterapie integrate, Masson, Milano.
(9) DI CHIARA, G. (2003), Della Specificità della psicoanalisi rispetto alla psicoterapia analitica. Riflessioni conclusive, in CERONI, G. B. (a cura di), Come cura la Psicoanalisi, XII Congresso Nazionale della Società Psicoanalitica Italiana (Acta).
(10) RIOLO, F. (2002), La trasformazione psicoanalitica, Riv. Psicoanal., 48: 821-834.
(11) MITCHEL, S. A. (2000), Relationality; From Attachment to Intersubjectivity Theory, tr. it. Il modello relazionale. Dall’attaccamento all’intersoggettività, Raffaello Cortina, Milano 2002.
(12) GASPARINI, C., GATTI, A. (2012), La Lingua dell’Altro. Aspetti di Psicodinamica Culturale Adleriana, Riv. Psicol. Indiv., 72: 41-92.
(13) TSENG, W-S. (2001), Handbook of Cultural Psychiatry, tr. it. Manuale di Psichiatria Culturale, C.I.C., Roma 2003.
(14) ROVERA, G. G. et Alii (1984), In tema di Sindromi Schizoaffettive, Rivista Sperimentale di Freniatria, Suppl. Fasc. V, CVIII: 1809-1946.
(15) FERRERO, A. (2009), Psicoterapia psicodinamica adleriana (APP). Un trattamento possibile nei dipartimenti di salute mentale, Centro Studi e Ricerche in Psichiatria, Torino.
(16) FASSINO, S., ABBATE DAGA, G. (2006), Percorso formativo psicodinamico per lo psichiatra nell’età delle neuroscienze, Min. Psich., 47: 103-112.
(17) THE BOSTON CHANGE PROCESS STUDY GROUP (2010), Change in Psychotherapy. A Unifying Paradigm, tr. it. Il cambiamento in psicoterapia, Raffaello Cortina, Milano 2012.